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Bion: epistemologia e poetica.
Presentazione dell’articolo “L’autobiografia e la poetica di Wilfred Bion”, di Annelise d.M.S. Silveira Scappaticci.
Luca Trabucco
Ho il piacere di presentare il lavoro di Annelis Silveira Scappaticci – analista didatta della Sociedade Brasileira de Psicànalise de São Paulo, e direttore della rivista Ide – Psicànalise e cultura, pubblicata dalla stessa società – “Autobiografia e a Poética de Bion”, presentato in un ciclo di incontri alla Sociedade Brasileira de Psicànalise de Ribeirão Preto su “Matrizes Literàrias no Pensamento de Bion”, il 5 giugno scorso.
Questi incontri di Ribeirão Preto rappresentano una sorta di tradizione, ormai, facendo seguito ad un altro ciclo di seminari tenuti nel 2018 su “Matrizes mìticas na obra de Bion”, che ha dato luogo alla pubblicazione di un libro, con lo stesso titolo, nel 2020, per l’editore Blucher.
Il percorso che l’autrice segue nel suo lavoro è scandito dallo stesso percorso che segue Bion nel suo scritto “autobiografico”, opera in cui poetica ed epistemologia, intesa come “ricerca di un metodo proprio, la scoperta di una epistemologia personale” (Scappaticci, p. 2) – lo stesso percorso di ogni autentica analisi – sostiene la possibilità di una “continua indagine e inquietudine, modificare o fuggire la realtà”, testimonia della possibilità di mantenere una “disposizione alla riverenza (awe) di fronte all’immensità dello psichico” (p. 6).
Questa “riverenza”, “awe” la definisce Bion, “stupita meraviglia” nello sviluppo di cui ha scritto Di Chiara (1990), è al contempo una poetica ed una epistemologia, che permette di conoscere intuitivamente la complessità. Annelise Scappaticci si sofferma sul famoso passo di “La lunga attesa” in cui Bion racconta l’uccisione della tigre maschio, e “l’assedio” notturno al campo della tigre femmina in cui “la tigre ruggì il suo requiem” (Bion, 1982, p. 22). Un passo di grande qualità letteraria, questo di Bion, che permette di cogliere come attraverso questa “trasformazione” possano essere colti, in modo inequivocabile, gli aspetti della complessità. “Perfino la mia paura venne cancellata da un timore reverenziale quando udii, quasi provenisse dall’interno della tenda, come un gran colpo di tosse, e quindi il ruggito a piena gola del lamento funebre della tigre femmina” (c.s.); ecco che Bion ci parla, così intensamente, della matrice del nostro comprendere: l’essere all’unisono con l’emozione dell’altro, col dolore del vivere, in quanto apparteniamo tutti alla stessa realtà, O, e il dolore dell’altro, che sembra provenire dall’esterno, in realtà proviene, anche, dall’interno (della tenda). La comprensione poetica, implica la presenza di una Musa che “richiede agli spettatori di utilizzare la propria immaginazione (congetture immaginative) per sopperire alle deficienze di ordine materiale nella trasmissione dell’immateriale” (Scappaticci, p. 8).
Le Muse “raccontano le cose passate e future (perché anche il futuro è un passato), trasportandole sulla linea ideale del presente… Hanno la memoria del futuro. Il vero è semplicemente ciò che non è nascosto, che non è velato dalla dimenticanza e dal sonno” (Citati, 2018, P. 48). “Le muse sanno dire l’Aletheia e l’Apate”. Bevono contemporaneamente “l’acqua di due fonti, quella di Lethe e quella di Mnemosyne. Bevendo l’acqua di Lethe, diviene simile ad un morto. Tuttavia per la virtù dell’acqua di Mnemosyne, che è l’antidoto della prima, conserva il privilegio di ricordarsi di ciò che ha visto e sentito, e conseguentemente acquista il privilegio di vedere e di sentire in un mondo dove il mortale comune non vede più, non sente più” (Detienne, 1967). La tolleranza del paradosso permette di cogliere l’aldilà, di avventurarsi verso lo sconosciuto.
Di fronte a questo “compito” il timore reverenziale può trasformarsi in terrore persecutorio, il gradiente del funzionamento mentale propendere per una supremazia della funzione anti-α (Sandler, 1989), “evitare l’ “O-rigine”, la luce, e permanere immersi negli assunti di base (dipendenza, attacco e fuga, Bion, 1961)”, ovvero nella allucinosica onnipotenza del pensiero, nell’uso feticistico delle teorie.
La trasformazione poetica (artistica) è il modo più antico che noi umani abbiamo per l’apprensione della realtà, interna ed esterna. Freud aveva già affermato ciò, in tutta la sua opera, riconoscendo il debito che la psicoanalisi ha nei confronti della conoscenza dell’uomo trasmessa dall’arte, e Bion, che espande l’opera freudiana, lo segue, come ci ricorda Scappaticci (p. 2): “questo autore ci porta verso le origini letterarie del modello psicoanalitico della mente in quanto, come egli dice, i poeti romantici sono stati i primi psicoanalisti”. L’autobiografia, o meglio, la creazione letteraria, conclude Scappaticci (p.10), “sono interrogativi che non cessano di inquietarci. Quale è la relazione tra la verità dei fatti, la memoria biografica, e la verità immateriale, l’autobiografia? Qual è la possibilità, nel nostro lavoro come psicoanalisti, di ‘scrivere’ una autentica autobiografia?”. Interrogativi che si mantengono, paradossi che non richiedono di essere risolti, come ci ricorda Sandler, nel processo per cui l’espansione del campo che esplora che la psicoanalisi permette, nella fondamentale formulazione di Bion, non ci permette di dimenticare che ogni trasformazione lo è di un’invarianza.
“Wilfred Bion aveva progettato di pubblicare una collettanea di poesie per essere utilizzata dagli psicoanalisti, secondo Francesca Bion e Parthenope Bion Talamo, con le quali avevamo alcuni progetti in comune: uno di essi era di iniziare questa opera. Un disastro tragico e precoce ci ha tolto Parthenope; e con l’amica, la stimolante partecipazione”: così racconta Paulo Sandler nel suo articolo “Bion e poesia” (2010, p. 151).
Sandler ha avuto la possibilità di consultare la biblioteca personale di Bion, “conservata e gentilmente messa a disposizione per consultarla dalla sua devota sposa. Dato che Bion cita esplicitamente alcuni autori, il controllo incrociato è stato facilitato, ma in alcuni casi l’origine è implicita, inferita dal lettore, a partire dall’ethos della lettura e verificata con le annotazioni a margine che Bion aveva l’abitudine di fare sulle pagine dei suoi libri” (p. 152).
Bion ha sempre auspicato “una crescita qualitativa dell’arsenale individuale dell’analista, grazie ai miti e alla poesia” (c.s., p. 152), non come espedienti eruditi, ma in quanto miti e poesia, ma anche musica e arti figurative, sono i mezzi che l’uomo ha avuto a disposizione, ha escogitato, per apprendere la realtà, prima che Freud, grazie alla congiunzione tra esperienza – clinica – e quindi osservazione di fatti, trovasse nel mito di Edipo la chiave per risolvere il suo problema: “così ha inciampato nella psicoanalisi, scoprendola” (c.s., p. 153).
Lo sviluppo del percorso di Bion nella sua pubblic-azione è stato oggetto di diverse considerazioni. Malin, per esempio, ha recentemente scritto, in parziale accordo con Bleandonu (1990), che distingue tre periodi nel percorso di Bion – il periodo psicotico, il periodo epistemologico, e l’ultimo periodo -, che gli scritti “epistemologici” di Bion non hanno a che fare con “la psicoanalisi, ma con oscuri, astratti passaggi sulla natura della teoria della scienza alla maniera dei filosofi della scienza” (2021, p. 653). Questa distinzione tra epistemologia e poetica, quella espressa in particolare nei due volumi “autobiografici” e nella Memoria del futuro, mi trova profondamente in disaccordo.
In primo luogo in quanto la considerazione di Malin nella sua interpretazione parte dal presupposto che Bion intenda la possibilità di costituire un “senso comune” psicoanalitico, “come le persone leggono i termometri attraverso una calibratura condivisa”. In questo senso le argomentazioni di Malin mi appaiono appartenere a quel modo di intendere che è come quella del cane che guarda il dito che indica la cosa, e non la cosa. Una lettura che sembra implicitamente fare riferimento alla teoria dei parametri (Kuhn), un pensiero arrogante e non scientifico, come Lakatos, un autore per certi versi vicino a Kuhn ha affermato: “Non ci sono standard razionali per il loro confronto [dei paradigmi]. Ciascun paradigma contiene i suoi propri standard” (1985, p. 116). Allora i diversi momenti del percorso di Bion dovrebbero essere visti come un succedersi di parametri che si sono usati, e poi sostituiti. Ma al di là delle diverse scale del termometro – C e F, per esempio -, esiste un fatto, la temperatura (che in modo ultimo non sappiamo cosa sia): O nel linguaggio di Bion, la Verità, cioè ciò di cui ha bisogno la mente per poter crescere, la cosa-in-sé, il Noumeno.
Ciò che io ho trovato nell’opera di Bion è una espansione, una espansione di concetti fondamentali di Freud e Klein, Trasformazioni di Invarianti: Bion ebbe a dire di aver fatto un grave errore nell’intitolare il suo libro Trasformazioni, avrebbe dovuto essere “Invarianze e Trasformazioni”, in quanto la tendenza alla gergalizzazione degli psicoanalisti porta con sé una carente comprensione, come è successo con il principio di piacere/dispiacere di Freud, diventato principio di piacere, con tutti i travisamenti che ne sono derivati. Di fatto pensare solo alle trasformazioni senza il riferimento all’invarianza, può portare, per esempio, verso derive narratologiche che si perdono in sentieri e risultano completamente svincolate dal riferimento alla realtà.
Sandler, viceversa, afferma come “si possa considerare la trilogia Memoria del futuro come una ‘controparte pratica’ di tutta l’opera anteriormente scritta da Bion” (2010, p. 153). Il passaggio da uno stile comunicativo ad un altro, per esprimere gli stessi pensieri, sembra motivato, afferma ancora Sandler, in quanto i precedenti erano “abbastanza limitati, e potevano essere facilmente ossificati e istituzionalizzati” (c.s., p. 154). In Memoria del futuro giunge ad uno stile comunicativo dialogico, teatrale; nei volumi “autobiografici” lo stile è quello poetico “del suo taming wild thoughts; Bion, più vecchio, si reinventa attraverso gli occhi di un bambino. Un ragazzino estremamente sensibile e attento al funzionamento mentale in sé e nella relazione col suo gruppo” (Scappaticci, 2021, p.2).
Da Esperienze nei gruppi fino a Memoria del futuro, l’opera di Bion appare permeata da un principio fondamentale: il rispetto della Verità e della irresolubilità del paradosso della vita. Come ha osservato Di Chiara (1978) l’uomo a cui pensa Bion è un uomo che dice “No”, come l’uomo di cui ci parlano Nietzsche e Camus, in rivolta, e che vive fino in fondo la vita per quello che è, pur sapendo di non poter giungere ad una conclusione.
“La narrativa poetica psicoanalitica sorge dal gap, dalla mancanza, sostenendo la domanda. O, come direbbe Blake, l’analista è come il poeta, solo un segretario, gli autori sono nell’eternità” (Scappaticci, 2021, p. 3). O, come dice Sandler, i personaggi che Bion crea, sono “immaginari, inventati, ma non fantasiosi, che catturano buona parte dell’esperienza di vita e psicoanalitica di Bion – eventi, peraltro, inseparabili”. (2010, p. 154), ovvero analisi reale è vita reale. Epistemologia poetica della ricerca della verità su se stessi, ovvero conoscenza dei propri mezzi di conoscenza della realtà, interna ed esterna.
La poesia, come ποιεσις, “non è partenogenetica, come è il caso dell’allucinazione: si tratta di un matrimonio con la realtà, nella accezione biologica di una congiunzione maschile/femminile” (c.s., p.159). La poesia, come la musica, e la psicoanalisi, sono caratterizzate precipuamente dal riferimento ad una inesauribile forza creativa che proviene dalla antinomia, in termini freudiani, tra contenuto manifesto e contenuto latente: non ci sarebbe musica senza pause, poesia senza metafore, psicoanalisi senza silenzi. “Ciò che non è detto ma richiede di essere ascoltato” (c.s., p. 168). La poesia, come la musica, ha a che fare con l’invarianza, nelle parole di T.W. Adorno: “La musica è il tentativo umano, sempre inesausto, di enunciare il proprio nome, e non i suoi multipli significati”.
Bibliografia
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Bion W.R. (1975-1979) Memoria del futuro: 1) Il sogno; 2) Presentare il passato; 3) L’alba dell’oblio, Cortina, Milano
Bleandonu G. (1990) Wilfred Bion. La vita e l’opera, Borla, Roma 1993
Citati P. (2018) La mente colorata, Adelphi, Milano.
Detienne M. (1967) I maestri di verità nella Grecia arcaica, Laterza, Bari 1977
Di Chiara G. (1978) La separazione, Rivista Psicoanal., (24)(2):258-269
Di Chiara, G. (1990) La stupita meraviglia, l’autismo e la competenza difensiva. Rivista di Psicoanalisi 36:441-457
Lakatos I. (1985) La metodologia dei programmi di ricerca scientifici, Il Saggiatore, Milano
Malin B.D. (2021) R.B. Braitwaite’s influence on Bion’s epistemological contributions, Int. J. Psychoanal., 102, 4, 653-670.
Moraes de Ribeiro M.M. (ed) (2020) Matrizes míticas na obra de Bion, Blucher, São Paulo
Scappaticci d.M. S. Silveira A.L. (2018) A autobiografia de Wilfred Bion. Psicanalise, uma atividade autobiográfica, Jornal de Psicanálise, 51(95), 229-242
Scappaticci d.M. S. Silveira A.L. (2021) A autobiografia e a poética de Wilfred Bion, Sociedade Brasileira de Psicanálise de Ribeirão Preto, giugno 2021
Sandler P.C. (1988) Uma introdução a “Uma memoria do futuro” de W.R. Bion, Imago, Rio de Janeiro
Sandler P.C. (1989) Fatti. La psicoanalisi e la tragedia della conoscenza, Alpes, Roma 2022
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Sandler P.C. (2015) An introduction to A Memoir of the Future by W.R. Bion, vol 1, Karnac, London
Sandler P.C. (2015) An introduction to A Memoir of the Future by W.R. Bion, vol 2, Karnac, London