Autore: Angelo Moroni
Titolo: Povere creature! (Poor Things)
Dati sul film: regia di Yorgos Lanthimos, USA, 2023, 141′. Leone d’Oro alla 80° Festival del Cinema di Venezia.
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=aI8HQYIsV1A
Genere: commedia, drammatico, fantasy
(La Natura ama nascondersi)
Eraclito (frg. B123 D-K)
Tutto il cinema di Yorgos Lanthimos ha uno spessore che potremmo definire filosofico. La sua ultima opera, “Povere creature!” direi ancora di più, pur discostandosi molto dallo stile che ha caratterizzato la sua produzione precedente, a partire da “Dogtooth” (2009), “The Lobster” (2015), per proseguire, emblematicamente con “La Favorita” (2016) e con “Il sacrificio del cervo sacro” (2017). La cifra stilistica caratteristica di Lanthimos è decisamente, in primis, quella di un Perturbante filosofico, in senso heideggeriano, potremmo dire. Come la Filosofia, infatti il Cinema del regista greco guarda a ciò che sta alle origini del pensiero umano, e a come si manifesta questo apparire del pensiero sorgendo dalla Natura, epifanizzandosi come angoscia, come “stupita meraviglia” (Di Chiara, 1990), come urto traumatizzante. Trauma necessario alla nascita del pensiero, come accade ad esempio in adolescenza, che deve, a fatica, crescendo, farsi pensiero critico, auto-liberante, se non vuole rimanere soggiogato da un logos calcolante, puramente tecnocratico, istituzionalizzato. In questo senso, film come “The Lobster”, “Dogtooth” o “Il sacrificio del cervo sacro” puntano il dito sulla struttura patriarcale occidentale e sulla sua funzione di gabbia socio-culturale che vuole sopraffare il pensiero nel suo manifestarsi libero e aperto alla sua φύσις originaria.
“Povere creature!” guarda alla sessualità e al piacere come canale di conoscenza del mondo, come scoperta che, per manifestarsi come φύσις, come disvelamento del Sé nella sua autenticità e specificità, deve prima liberarsi dalle polimorfe catene culturali che ne limitano le potenzialità esperienziali, vitali. Per portare avanti il suo progetto narrativo, Lanthimos costruisce una protagonista, Bella – una Emma Stone ispiratissima, “spiritata”, determinata nel suo di progetto di vita – come perfetta incarnazione di un femminile che rompe tutti i precedenti schemi femministi, nonché tutti i modi cinematografici con cui tali temi sono stati trattati. Innanzitutto il film è ambientato in una sorta di passato/futuro (una specie di “memoria del futuro” bioniana) distopico, in un altrove dalle fattezze solo apparentemente ottocentesche che richiamano le location letterarie del Frankenstein, di Mary Shelly (1818). Bella è infatti una giovane donna incinta, suicida per annegamento dopo essersi gettata nel Tamigi. Il chirurgo inglese Godwin Baxter – un Willem Dafoe particolarmente intenso – ne raccoglie il cadavere sulle rive del Tamigi e la porta nel suo laboratorio riportandone in vita il corpo, ma trapiantando il cervello del bambino che ha in grembo nel suo cranio. Ne segue un vero e proprio “romanzo di formazione” di Bella, che vediamo girato in bianco e nero nella prima parte del film, attraverso un utilizzo quasi acrobatico di grandangoli e obiettivi fish-eye, allo scopo di rendere ancor più surrealmente fantascientifica la narrazione. Bella cresce e fa esperienze come un bambino heideggerianamente “gettato” nel mondo con il suo esser-ci: la sua apprensione del mondo avviene infatti attraverso tonalità emotive libere, aperte, totalmente prive di freni inibitori, poiché questo è lo scopo di Baxter, cioè osservare come si manifesta il pensiero umano se lasciato libero di muoversi. Ma φύσις è Natura, corpo, sessualità, e la Natura non si accontenta di “conoscere” in modo “epistemologico”, bensì proviene dall’ orizzonte aurorale “ontologico” della φύσις. Per fare questo la φύσις incarnata da Bella, si fa strada in modo dirompente e senza freno alcuno, non appena il desiderio sessuale si manifesta, prima in modo autoerotico, poi, incontrando l’altro come oggetto dello stesso desiderio. “Povere creature!” parla della sessualità come forma naturale di appercezione del mondo, come modo per ritornare a quell’originario sentire da cui proviene il logos umano, e con la quale questo logos è, da sempre, intrecciato traumaticamente. Lanthimos nel suo film ci parla dell’ineluttabilità di questo intreccio, e in un modo, potremmo dire, antitetico alla lezione di Lacan. Per Lanthimos infatti, e soprattutto in questo ultimo, bellissimo film, l’inconscio non è affatto strutturato come il linguaggio. Al contrario natura e linguaggio provengono da un’aurorale scaturigine comune che continua a perturbarci, a traumatizzarci, da un orizzonte di senso che non possiamo “capire” con il logos, da un’origine “estetica” del nostro essere, dalla quale siamo da sempre abitati e che ci attraversa. Un’origine che tuttavia non possiamo mai possedere appieno con i nostri limitati strumenti, così come Bella non potrà mai essere posseduta dagli uomini che vogliono il suo corpo e il suo amore. La vittoria di Bella su chi vorrà inutilmente soggiogarla, è la realizzazione dell’essenza ultima della sua φύσις , cioè il suo “stare nel nascondimento”, come ci ricorda Eraclito [1] nella citazione in esergo a questa recensione. Essenza che riposa nel suo disvelarsi prorompente solo nel momento in cui ne rispettiamo la libertà di nascondersi. E’ la stessa natura dell’inconscio, il suo generarsi nel “nascondimento” del sintomo, del gruppo, il suo rimandare sempre ad altro, cioè ad una relazione di cura che sappia aprirsi ad un’accoglienza che non vuole possedere ma accompagnare e ascoltare l’origine, la storia di un “essere umano” che si manifesta nella sua peculiare e insieme poliedrica unicità.
Febbraio 2024
Riferimenti bibliografici
Di Chiara, G. (1990) La stupita meraviglia, l’autismo e la competenza difensiva. Rivista di Psicoanalisi 36:441-457.
Heidegger, M, Heraklit, a cura di M. S. Frings, Gesamtausgabe, vol. 55, Klostermann, Frankfurt, a. M., 1979.
Shelly, M. (1918) Frankenstein, Torino, Einaudi, 2016
[1] Il concetto di Physis è ripreso da Heidegger nella serie di sue lezioni friburghesi del 1943 su Eraclito. Vedi Heidegger, M, Heraklit, a cura di M. S. Frings, Gesamtausgabe, vol. 55, Klostermann, Frankfurt, a. M., 1979, p. 109 e sgg.