“Torrenti che rompono gli argini: “detriti” galleggianti del campo analitico che attendono un sogno” – Maurizio Collovà
Il libro “Contengo Moltitudini”, curato da G. Stella e R. Di Nardo, pubblicato nel 2023 dalla casa editrice Mimesis, nella collana “Frontiere della Psiche”, per festeggiare i 10 anni della fondazione del Centro Psicoanalitico di Pavia, raccoglie una serie di scritti, sotto forma di capitoli, di pregio e valore non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per chi nutra interesse nei confronti della psicoanalisi.
In questa breve sinossi del capitolo redatto dal dott. Collovà, desidero porre l’attenzione su un testo chiarificatore dell’eziologia delle possibili “perturbazioni” del campo analitico nel corso di un’analisi. Nel testo l’autore utilizzerà esempi filmici, letterari e clinici.
Egli si propone di indagare quali sono gli stati della mente di analista e analizzando che si generano quando il campo della seduta è invaso da un flusso di emozioni troppo intenso, che rischia di non essere contenibile. Si crea una sensazione diffusa nel campo di sopraffazione responsabile della formazione di quelli che Bion chiama “detriti” (Bion in Elementi della psicoanalisi, 1973 pp 83,84, e Seminario di Parigi 1978).
Quando la mente viene sottoposta ad una realtà emotiva non sostenibile, essa può distruggere funzioni dell’apparato psichico (funzione alfa?) che le consentirebbero di esserne consapevole. Possiamo immaginare questo processo come un’esplosione in grado di provocare la formazione di detriti/frammenti dispersi nello spazio e nel tempo analitici. I detriti non possono essere utilizzati come pre concezioni (o elementi beta?), non possono essere “digeriti” e trasformati in pensiero. Ma Bion raccomanda un’attenta osservazione dei detriti perché tra essi può nascondersi una “scintilla vitale” o il “seme di una pianta” sconosciuta da cui può scaturire un processo di ricostruzione di senso e quindi di riparazione. Perché l’osservazione sia generativa l’analista deve utilizzare la propria capacità negativa che gli consenta di tollerare il dubbio per un tempo necessario. Bion ha immaginato il dubbio e l’incertezza come una nuvola priva di forma in cui galleggiare nell’attesa di cogliere gli elementi che messi in successione, come le perline colorate di una collanina per bambine, consentano di realizzare una visione globale e di senso. Tale visione permette la ricostruzione graduale di funzioni dell’apparato psichico e un comune campo emotivo in cui analista ed analizzando co-costruiscono la dimensione del Noi superando la visione dualistica dell’Io/Tu. L’avere attraversato insieme l’esperienza emotiva prima non sognabile produce un cambiamento che interessa entrambi. Tale esperienza per quanto possa essere disturbante, perché può travolgere la capacità di trasformare le emozioni in narrazione e quindi di contenerle dentro gli argini, permette se l’ascolto è “rispettoso” una sintonizzazione il cui scopo è quello di “aiutare il paziente a diventare più pienamente sé stesso”, secondo una psicoanalisi ontologica dell’essere e del divenire e non epistemologica del conoscere e dell’apprendere. Il cibo necessario alla mente per nutrirla, ricostituirla e sostenerla, come dichiara Bion, è la “ricerca della verità emotiva”.
I detriti possono essere immaginati come elementi di tipo sensoriale in grado di evocare in chi li coglie un “contatto” inteso come esperienza primigenia in cui non esiste un confine netto tra il corpo della madre e quella del bambino, tale contatto è in grado di restituire a chi partecipa all’esperienza in seduta “la percezione di essere vivo, di esistere” di sé e dell’altro.
Molteplici sono i fattori elencati dall’autore in grado di determinare lo stato di sopraffazione e di incidere pesantemente sulle funzioni dell’apparato per pensare. In ciascuno di questi casi la mente deve trovare una strategia per far fronte alla disorganizzazione derivata dall’esplosione e giungere alla trasformazione dei detriti in narrazione e quindi in pensiero pensabile. Ogni volta, la mente attraversa un dolore necessario senza il quale non può avvenire l’espansione del contenitore nel corso del suo impatto con le emozioni che lo soverchiano. A questo proposito appare molto pertinente il concetto di “criterio di sostenibilità” elaborato dall’autore (Collovà, 2007) secondo cui la ricostruzione del rapporto tra contenitore/contenuto deve avvenire in base alla capacità dell’apparato psichico di mantenere dentro gli argini un contenuto tollerabile. Il contenuto non deve superare il limite della frustrazione tollerabile che è fattore di crescita oltre il quale si crea persecuzione causa dell’esplosione del contenitore. Quando la ricostruzione avviene in modo graduale è possibile fare crescere la “funzione psicoanalitica della mente” ossia la “capacità di sognare l’esperienza” in quanto l’esperienza che ha condotto all’esplosione da cosciente può transitare verso l’inconscio ed essere sognata, divenendo sostenibile per l’apparato psichico di entrambi gli attori dell’analisi, ma terapeutica per l’analizzando. Uno degli strumenti più importanti contenuti nella cassetta degli attrezzi del dott. Collovà è la “trasformazione in allucinosi” come illustrato nella vignetta clinica di Ettore. L’analista ad un certo punto dell’analisi si sente costretto in una posizione di ascolto da “psichiatra in modalità diagnostica” perché sopraffatto dall’ intensità della corrente di emozioni scaturita dal racconto in seduta; l’analista fa esperienza di uno stato di allucinosi. Quando si “sveglia” da questa condizione di allucinosi recupera una funzione onirica per mezzo della reverie che gli consente di accedere alla consapevolezza, diventando capace di sviluppare il campo ossia di sognare. La descrizione dell’uso di questo strumento permette di comprendere come l’autore esca dall’impasse dell’intrasformabilità.
Sono consapevole di quanto questa semplificazione dello scritto dell’autore possa comprometterne la chiarezza, per tale ragione invito i lettori interessati a cimentarsi con il capitolo nella sua forma integrale per potere godere di un’esperienza arricchente sia sul piano clinico che teorico.
Pietruzza Bucolo