Psicoterapeuta, Docente universitario all’Università di Bergamo, già Direttore del Centro Milanese di Terapia della Famiglia, attuale Direttore dell’International School of Systemic Therapy (in Transcultural Contexts).
Tra i suoi recenti libri: con Gabriella Scaduto Diritti umani e intervento psicologico, Firenze: Giunti, 2021; con Maria Esther Cavagnis, Britt Krause e Umberta Telfener Ethical and Aesthetic Explorations of Systemic Practices, London: Routledge, 2022; Introduzione e cura del volume fotografico di Carla Cerati La classe è morta, Milano: Mimesis, 2023; Linguaggi senza senso. Clinica transculturale, Milano: Meltemi, 2023.
- In questi giorni tornano a bruciare le banlieue. Il rapper francese Ninho canta “ Ils veuelent pas que ca brûle comune en 2005”. A Clichy -Sous-Bois periferia nord est di Parigi è partita nel 2005 la scintilla dei riots dopo la morte di due giovani , Zyed Benna e Bruins Traore’, mentre scappavano da un controllo della polizia come Nahel a Nanterre. Che cosa fare della rabbia di questi giovani chiamati “racaille” da Sarkozy, feccia? Che cosa trovi di simile o diverso dalla Francia rispetto all’Italia?
Storicamente il popolo francese, o il territorio di Francia, è sempre stato tendenzialmente rivoluzionario. È una tradizione che risale al 1789 o forse anche prima, ai Catari. Sta di fatto che il Sessantotto parigino è stata una fiammata rivoluzionaria studentesca, mentre l’autunno caldo del Sessantanove a Milano e a Torino si è sviluppato come una stagione più lunga, cui hanno fatto seguito le Brigate Rosse e gli anni di piombo con una reazione inattesa e di lunga durata che pare irreversibile.
Non che l’estrema destra in Francia non abbia avuto consensi, anzi, da anni la destra estrema riceve consensi. Ma la situazione francese è diversa. In Francia la destra è gollista, là il fascismo è chiaramente un’invasione straniera. La destra francese è rimasta una destra antifascista, che qui esisteva ai tempi di Malagodi o La Malfa, ma è sempre stata minoritaria. Così Macron, uomo certo non di sinistra, a noi appare un personaggio insolito.
(…)la polizia italiana sconta ancora i fatti di Genova e, benché esistano numerose eccezioni, si manifesta meno simbolicamente violenta di quella parigina con cani d’assalto, manganelli dispiegati, vestiti da combattimento, sguardi minacciosi.
Sarkozy è uomo di destra, si esprime come nelle parole di Contessa di Paolo Pietrangeli: “quando è arrivata la polizia quei quattro straccioni han gridato più forte, sporcando di sangue i muri e le porte, chissà quanto tempo ci vorrà per pulire”.
- Quali specificità e limiti hanno dal tuo punto di vista i sistemi di prevenzione e cura per la salute mentale degli adolescenti e giovani adulti in Italia?
Dal mio punto di vista, i sistemi di cura non hanno il compito di far ingoiare la pillola dell’adattamento, dell’integrazione ad ogni costo come raggiungimento di una meta, creando così una latente sottomissione. La specificità è aiutare il soggetto a riflettere sulla propria esistenza, permettere al dissenso di trovare forme espressive non violente ma critiche. Come sosteneva Albert Camus in L’homme révolté, la rivolta è indignazione verso il negativo, non è pensiero negativo, è pensiero positivo indignato, e Marta Nussbaum in Upheavals of Thought, insegna che l’atteggiamento democratico di fronte all’ingiustizia non è quello di svergognare il reo, quanto la capacità d’indignarsi di fronte all’ingiusto. Forse, se gli adolescenti e i giovani adulti incontrassero qualcuno che, anziché far loro la morale benpensante, riuscisse a mettersi in contatto con le loro inquietudini, aiutandoli a riflettere sul fatto che spesso queste emergono dall’indignazione di fronte a un mondo ingiusto e indifferente alle ingiustizie, avremmo meno ribelli senza causa, meno disturbi borderline, meno autolesionismo e pulsioni suicidarie. E’ un lavoro che i sistemi di cura devono svolgere nella singolarità dell’incontro, senza liquidare la sofferenza con una diagnosi, una prognosi, un trattamento e spesso una contenzione “generiche”.
2. Come descriveresti la specificità della neuropsichiatria infantile in ambito transculturale? Quali dispositivi sono messi in atto nel centro di terapia della famiglia da te diretto a Milano allora e in quello di Bergamo oggi per gli adolescenti e le loro famiglie?
Intanto “neuropsichiatria infantile” è un termine tutto italiano. In altri ambiti si parla di psichiatria infantile o di pedopsichiatria. Che poi esistano bambini con disturbi neurologici nessuno lo nega, ma “neurologia” e “psichiatria” sono discipline che si sono differenziate nel tempo a partire da Charcot, Kraepelin e definitivamente con Freud e l’avvento della psicoanalisi. Nella nuova scuola di Terapia Sistemica Transculturale di Bergamo avremo, tra i docenti, alcune neuropsichiatre infantili che dirigono gli UONPIA del territorio e che incontrano quotidianamente bambini con disordini come DSA, ADHD, Ritardi cognitivi, forme differenti di autismo, e altre disabilità. Ci sono bambini che soffrono di enuresi, encopresi, stipsi psicogene, descritte con maestria da Elvio Fachinelli nel Bambino dalle uova d’oro. È importantissimo il coinvolgimento della famiglia. In generale, salvo eccezioni, lo sguardo dei genitori e dei parenti, nel cambiare ottica, depatologizza le bambine e i bambini. Poi ci sono bambine e adolescenti senza genitori (minori non-accompagnati è il termine giuridico, ma è bene che il clinico non si assoggetti alla terminologia oggettivante dei giuristi, sopratutto quando si ha a che fare con bambini e adolescenti). Qui le cose si complicano: si tratta di fare un grande lavoro di rete dei servizi con i contesti formali e informali, come le comunità di appartenenza, nel caso di bambini stranieri. Nel lavoro etnoclinico presso Forme, centro etnoclinico della cooperativa Ruah di Bergamo, abbiamo a lungo lavorato anche nella consultazione delle UONPIA e nella gestione di rete in molti dei questi questi casi.
3. Si parla di “rivolta francese e diritti negati” in un commento sulla rivolta francese di Concita de Gregorio: “tutti devono avere la possibilità di cambiare le condizioni assegnate in partenza. Siamo a posto col compito?” Quale può essere il contributo delle Medical Humanities in tal senso, verso la costruzione di “ ponti oltre la violenza“?
Le Medical Humanities, nel creare un orizzonte culturale, letterario, filosofico, antropologico e artistico per la formazione dei medici, degli infermieri, degli psicologi e della altre professioni della salute hanno un ruolo centrale. Un tempo i medici “frequentavano” molto di più le sedute di psicoanalisi, le scuole di psicoterapia (quando la feci io, negli anni Ottanta, la stragrande maggioranza degli allievi erano psichiatre/i, neuropischitre/i infantili, ginecologhe, medici del lavoro di medicina legale, fisiatre/i). Ora le Humanities sembrano essere state bandite anche nei corsi di psicologia, dove prevale il dogma TCC e una quantità di tecniche che servono solo a semplificare e a rendere gli operatori in un qualche modo potenzialmente più aggressivi. Studiare Shakespeare, ascoltare Monteverdi, conoscere Francis Bacon, studiare Spinoza o Deleuze, leggere
un romanzo di Garcia Marquez è importantissimo, non va lasciato al caso. Non è solo una una passione, un hobby. Conoscere alcune lingue aiuta ad accogliere in inglese i pazienti Yoruba e Igbo, in francese i pazienti Wolof e Poular, in spagnolo i pazienti peruviani, messicani, colombiani, ecc. Migranti, nomadi, fuori dal territorio, spesso più colti e perspicaci di noi, basta aver un atteggiamento di curiosità.
4. In ultimo che cosa pensi della decisione della Corte Suprema degli USA di rimuovere l’affirmartive action, il regolamento che a partire dagli anni sessanta ha favorito l’accesso in università e altre istituzioni a chi è membro di una minoranza? Sono e siamo pronti?
Se mi è concesso esprimermi, bisognerebbe abolire buona parte dei membri della Corte Suprema: ciò che è ingiusto è che quei membri, in buona parte, sono consustanziali al golpe tentato da Trump, durante il suo mandato. Ricordo il film The Ruling Class di Peter Medak, del 1972, film britannico. Si vede a una certa distanza l’assemblea della Camera dei Lord, il piano sequenza si approssima lentamente ai volti dei lord con uno zoom, fino a giungere nitidamente a un gruppo di scheletri che indossano l’ermellino. Negli USA non prevale, come in Gran Bretagna lo status ascritto, dunque niente ermellini, magari camicia e jeans, ma i volti degli scheletri restano nitidi.