Sebbene della poesia e del tono poetico si possa fare abuso, non è questo il caso di Beatrice Ithier. Il suo bellissimo contributo al libro Contengo Moltitudini, è autenticamente poetico. Il capitolo da lei curato si intitola : “Un’ospite nel post-campo: la chimera”. In questo capitolo Ithier illustra il personale percorso intellettuale ed esperienziale di Beatrice. Innamorata dell’Italia, in particolare di Pavia (Milano le piace meno, non ne ha forse colto la dimessa poesia, nascosta dietro i palazzoni, il traffico, lo smog, l’industriosità…) come il suo connazionale Stendhal, è socia titolare della Società psicoanalitica di Parigi ma anche del Centro Pavese. Cammina su solide suole kleiniane, fornitele attraverso la mediazione del suo supervisore R,osenfeld, al quale sembra essere molto grata, ma il suo essere psicoanalista, il suo pensiero e la sua scrittura risentono di numerose altre influenze. Il caro maestro De m’Uzan, caposcuola con Marty della scuola francese di psicosomatica, e ideatore o co-ideatore del concetto di chimera: la seconda autrice è senz’altro Beatrice. André Green che seppe rompere con Lacan e che secondo Beatrice anticiperebbe Ogden nella nozione di terzo intersoggettivo. Winnicott di cui ricorda il concetto di oggetto composito, ma anche la fondamentale necessità di non farsi abbagliare dal sintomo. Bion. Soprattutto nella traduzione e nell’ampliamento, nell’approfondimento si potrebbe dire, fattone da Antonino Ferro e Giuseppe Civitarese (per citare li maggior corni della fiamma pavese!) e da Grotstein. Mauro Manica e Maria Grazia Oldoini, amici e soci del Centro e fautori di una riconciliazione postuma delle tradizioni bioniana e winnicottiana, considerati ingredienti indispensabili alla cucina analitica contemporanea. Beatrice sembra interessata al campo e ai suoi sviluppi, il cosiddetto post campo. L’originalità del contributo di Beatrice oltre che nel tono e nella scrittura poetica e musicale (quando parla ad esempio di basso continuo della seduta, inconsueto per un analista!) e nel rigore dei riferimenti teorici precisi, non approssimativi, non citazionistici (quando citiamo qualcuno dovremmo farlo per davvero e non per rivendicare la nostra appartenenza ad alberi genealogici, sia pur cadetti) ma anche nell’approfondimento del concetto di chimera e nella ricca esemplificazione clinica che di questo concetto e della sua utilità viene fornita. L’idea è che la chimera sia un’immagine visiva, indigesta, violenta e sgradevole almeno inizialmente o perlomeno strana, inconsueta che si impone all’analista in momenti particolari generalmente di impasses della cura. Come suo cugino, il personaggio analitico di Ferro e Basile. Secondo Beatrice, la chimera è una creazione del campo, che si manifesta all’intersezione delle storie personali, e in particolare dei traumi, sempre presenti all’appello, di paziente e analista. Le agonie del paziente riattivano reminiscenze traumatiche dell’analista che si trova suo malgrado di fronte a immagini che gli/le si impongono, un po’ come nella rêverie. Una mucca, strano oggetto transizionale, la “mia” mucca, dice Beatrice che la consolava di fronte a separazioni precoci e dolorosissime dalla madre. Reminiscenze somatiche di un’operazione (credo una tonsillectomia) subita, è proprio il caso di dirlo, ad opera di due medici coperti di lenzuola come dei fantasmi, nella casa della nonna. L’incrocio delle esperienze traumatiche oltre che degli inconsci dei due coprotagonisti della cura, sembra essere una precondizione del prodursi di reminiscenze e di immagini di grande utilità nel superamento di impasse , di momenti in cui gli strumenti standard dell’analisi paiono non aver presa. Anche se i commenti o le interpretazioni dell’analista possono consentire a paziente e ad analista di continuare a cucinare le emozioni ribollenti nel campo. Un grazie a Beatrice nostra affezionata compagna di viaggio della Ville Lumière. Un grazie soprattutto per avere scritto un contributo vivo, affascinante e averci ricordato perché la psicoanalisi non è solo una, la più difficile, fra le tante forme praticabili di psicoterapia. Buona lettura.
Giovanni Stella