In un intreccio interdisciplinare tra fisica quantistica, filosofia e neuroscienze – di Benedetto Genovesi, Franco Angeli, 2024, pp. 144
Recensione a cura di Giovanni Stella
La cura psicoanalitica, (Franco Angeli, Psicoanalisi contemporanea, 2024) di Benedetto Genovesi, è un bel libro. E’ una piacevole sorpresa. Aiuta il lettore psicoanalista, come il sottoscritto, a sentirsi meno solo. In buona compagnia. I fitti riferimenti alla fisica quantistica e alle neuroscienze sono solidi e pertinenti. Ma anche quelli ai paradigmi psicoanalitici, con una particolare predilezione, mi sembra per Bion, per Winnicott e per il campo, che non esclude riferimenti, sempre puntuali a Freud, rivisitato o meno, a Ferenczi, alla Klein ad autori italiani, noti e meno noti. Non accade quindi ciò che accadeva forse a Karl Menninger, di fronte a un suo intelligente allievo, Merton Gill che, secondo Menninger aveva la capacità di rendere noiose le cose interessantissime che andava pensando. Non si verifica l’effetto soporifero che le riflessioni e le ricerche, per altro verso straordinarie di Bowlby producevano su Winnicott, agli antipodi, tuttavia attento e desideroso di capire. Nella bella postfazione, Civitarese paragona Genovesi a D’Alembert, enciclopedista anche se non l’unico e sottolinea la capacità di Benedetto di fare buona divulgazione. Ci sarebbe anche quella. Anche se il tono e la scrittura sono meritoriamente piani, comprensibili, (e personali con rimandi‚ esistenzialisti alla Sicilia, alle Eolie viste da Milazzo, alla pesca con il palamita, che anche io ho praticato con diverso nome, credo calabrese, bolentino) il libro è denso, forse neppure troppo come scrive Tonia Cancrini nella prefazione, elogiativa e non buttata lì. Si muove con disinvoltura fra tematiche estremamente complesse. Come i libri di Rovelli, spesso citati, hanno il merito di spiegare anche ai sassi, cose difficilissime come la fisica quantistica, le ipotesi cosmogenetiche contemporanee, il principio di indeterminazione. Come, allo stesso modo, merito perenne di Nino Ferro e di Giuseppe Civitarese, e di non molti altri, è di aver dimostrato la possibilità di una scrittura psicoanalitica chiara, brillante, viva e pregnante. Così¨ questo agile libro ha il notevole pregio di farci viaggiare fra la psicoanalisi (che il nostro autore mostra di ben conoscere), e universi teorici solo apparentemente distanti e “astrusi” come la fisica e le neuroscienze. I riferimenti a queste ultime non sono arroganti. Il lettore non viene trattato come un idiota al quale si deve cercare di cacciare in testa il fatto che il corpo c’è, che una psicologia svincolata dai suoi fondamenti biologici, diventa come un palloncino di elio (immagine di Benedetto) che fluttua nell’etere. E’ vero: non dobbiamo reiterare l’errore di Cartesio. Perché c’é modo e modo di non reiterarlo. Benedetto non ci bacchetta per le nostre “ignoranze” ci invita a imparare, le molte cose difficili che ha indubbiamente imparato e che cerca di raccontare con passione. La mia impressione‚ “laica” che generalmente la letteratura neuropsicologica presenti le proprie scoperte e acquisizioni in modo noioso, arrogante e iperbolico. A volte anche poco zavorrato, sul piano filosofico ed epistemologico. A me più noto. Non così il libro di Benedetto. Ho particolarmente apprezzato i riferimenti latini, le etimologie, usate con parsimonia. Etimologie vere, non paraetimologie alla Isidoro di Siviglia. Un uso moderato e pertinente (non snobistico), cum grano salis, del latino non mi pare possa farci male. Uno dei primi relazionalisti è stato Virgilio, con Orazio il più grande poeta latino. Mi è spesso venuto in mente leggendo il libro, quando parla del bambino che impara a conoscere il mondo dal sorriso della madre.
Giocando un po’ con il titolo e il sottotitolo si potrebbe dire che una cura per una psicoanalisi del trito e del ritrito sta proprio nel cogliere intrecci, fondamenti , filosofico-scientifici (con preghiera di non scindere troppo fra filosofia e scienza) e letterari. Troppe volte si sentono idiozie rispetto alla qualità formale e letteraria, spesso del tutto assente, come se fosse formalismo. Non è così. Chi scrive male , pensa male. Chi scrive bene, potrebbe essere sulla giusta strada per pensare bene , senza essere benpensante!
Il libro di Benedetto è molto relazionale, perchè, prende, trascina, suggerisce pensieri, immagini. Come un buon libro di viaggio, ti fa venir voglia di viaggiare, ripetere anche soltanto in sogno il percorso, magari non in modo identico ma variato.
L’ultima particolarità del libro che desidero sottolineare per evitare di dilungarmi è stilistica. Benedetto , come nota anche Civitarese, usa frasi brevi ma non secche e usa credo inconsciamente il presente storico. Siamo nell’Hic et nunc.
Dr. Giovanni G. Stella
Novembre 2024